martedì 18 settembre 2012

Bufale su Facebook: gli status sulla privacy sono inutili


Arriva anche in Italia la bufala che molti utenti pubblicano sulle proprie bacheche. Viene dagli Usa, non ha nessuno scopo pratico e non può averne




Dichiaro quanto segue: qualsiasi persona o ente o agente o agenzia di qualsiasi governo, struttura governativa o privata, utilizzando o il monitoraggio di questo sito o qualsiasi dei suoi siti associati…”. Inizia così la bufala più recente che spopola in questi giorni in Italia. Inutile dire che per proteggere la privacy non può bastare uno status, soprattutto se questo fa riferimento alle leggi presenti nell’Ucc (Uniform Commercial Code) che non ha nulla a che vedere con la riservatezza e, vale la pena sottolinearlo, essendo un libro di leggi americane, è fuori luogo pensare che possa avere validità anche in Italia.

Ecco il testo completo.

"Dichiaro quanto segue: Qualsiasi persona o ente o agente o agenzia di qualsiasi governo, struttura governativa o privata, utilizzando o il monitoraggio di questo sito o qualsiasi dei suoi siti associati, non ha il mio permesso di utilizzare informazioni sul mio profilo, o qualsiasi parte del suo contenuto compaia nel presente, compreso ma non limitato alle mie foto, o commenti sulle mie foto o qualsiasi altra «immagine» pubblicata nel mio profilo o diario. Sono informato che a tali strutture è strettamente proibito divulgare, copiare, distribuire, diffondere o raccogliere informazioni o intraprendere qualsiasi altra azione riguardante o contro di me tramite questo profilo e il contenuto dello stesso. Divieti precedenti si applicano anche ai dipendenti, stagisti, agenti o qualsiasi personale sotto la direzione o il controllo di dette entità. Il contenuto di questo profilo è privato e le informazioni in esso contenute sono riservate al circolo di persone alle quali esso è destinato. La violazione della mia privacy è punita dalla legge. UCC - 1 - 308 - 1-103. Facebook è ora un'entità quotata in borsa. Tutti sono incoraggiati a pubblicare un bando come questo, o se preferite, è possibile copiare e incollare questa versione. Non pubblicare tale dichiarazione almeno una volta, indirettamente permette l'uso di oggetti quali immagini e informazioni nei vostri aggiornamenti di stato pubblici".

Per meglio comprendere le dinamiche che animano il tamtam virtuale di fake simili a questo abbiamo raggiunto l’avvocato Fulvio Sarzana, curatore dell’omonimo blog ed esperto di privacy sul Web. “Quella che circola in queste ore è una traduzione zoppicante che girava già mesi fa in inglese, uscita in concomitanza con il sondaggio con cui Facebook invitava gli utenti a pronunciarsi circa le proprie volontà in fatto di privacy”. Il testo dello status fa effettivamente riferimento ad un codice esistente, cosa che conferisce credibilità al messaggio “si sfrutta la paura della gente che terze parti o forze dell’ordine possano entrare nei profili”, continua l’avvocato Sarzana, “possibilità che viene data dalla magistratura a fronte di un reale pericolo o di fondato sospetto e che non può di certo essere lenita dalla presenza di un simile status sulla propria bacheca”. Anche l’accordo tra Polizia Postale e Facebook, a inizio 2011, aveva fatto montare la polemica a causa di un’altra bufala, quella secondo cui le autorità avrebbero potuto controllare i profili degli utenti italiani senza l’apposita approvazione della magistratura. Polemica arrivata in Parlamento con tanto di interrogazione: un’altra bufala.

“In realtà”, continua Sarzana:  “l’unico modo per proteggere la propria privacy è quello di fare un uso accorto delle impostazioni di Facebook”. Cosa peraltro ribadita al punto 2 delle dichiarazioni dei diritti e delle responsabilità di Facebook in cui si legge che il proprietario di ciò che viene postato è l’utente e che ne cede a Facebook una licenza non esclusiva.

In quanto grossa entità di richiamo per la Rete e gli infonauti, Facebook è piuttosto soggetta a bufale tra quelle nuove e quelle meno nuove che si ripresentano però con una certa ciclicità: su tutte quella che prevedeva l’introduzione di un fee di  4 dollari e 99 cents per l’uso del social network ; è apparsa con buona regolarità dal 2009 al mese di settembre del 2011 e si è ripresentata ad inizio 2012 cambiando soggetto, non più Facebook ma Instagram, tanto per restare in famiglia.

Ha tenuto banco per mesi la convinzione (anche in questo caso falsa) che alcuni hackers fossero in grado di pubblicare, a nostro nome, insulti e video a sfondo sessuale sulle bacheche dei nostri contatti. Se ne è parlato da novembre 2011 a maggio 2012, poi il silenzio. Ma restiamo in attesa di nuovi sviluppi.

Non da ultimo, ma in questo caso siamo tutti certi si trattasse di un clamoroso fake, la notizia secondo cui Zuckerberg, stressato dal troppo lavoro, avrebbe deciso di chiudere per sempre Facebook il 12 marzo scorso.

Fonte:Daily
                                                                                                                                                 
                                                                                                                                                 


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