venerdì 8 giugno 2012

CAMILA, 3 ANNI, VEGETALE DALLA NASCITA:"SÌ ALL'EUTANASIA". ARGENTINA CHOC



Camila Sanchez, una bambina di tre anni in stato vegetativo da quando era nata, è deceduta oggi dopo che, per decisione dei genitori, le è stata staccata la spina che la teneva in vita in una clinica di Buenos Aires.
È la prima volta che ciò accade in Argentina da quando, il 24 maggio scorso, il Parlamento ha approvato la legge sulla 'morte degna'. «Il nostro angelo se ne è potuto andare», ha fatto sapere la madre Selva Herbon via Facebook, che ha anche ringraziato i medici che «hanno saputo interpretare la legge sui diritti dei pazienti».
Camila, per iniziativa dei genitori e di vari settori della società, è stata il simbolo della non facile disputa politica per fare approvare tale legge. «Grazie per averci appoggiato in questo processo di dolore e di lotta instancabile», ha appunto specificato la madre - che pur trovandosi nella clinica non è entrata nella stanza dove è stata staccata la spina alla figlia - nel suo messaggio.

Fonte: Leggo

VIA POMA, I GIUDICI D'APPELLO: "NESSUNA PROVA DELLA COLPEVOLEZZA DI BUSCO"

SIMONETTA CESARONI

«Non vi sono elementi per ritenere provata al di là di ogni ragionevole dubbio la penale responsabilità di Raniero Busco» dall'accusa di omicidio aggravato ai danni di Simonetta Cesaroni, uccisa con il 7 agosto 1990 in via Poma. È quanto emerge dalle motivazioni della sentenza della Corte di Assise di Appello. A 42 giorni dalla sentenza della I corte di assise di appello che ha assolto Busco, per non aver commesso il fatto, sono state depositate le motivazioni. Si tratta di 186 pagine in cui il collegio presieduto da Mario Lucio D'Andria (l'estensore della sentenza è Giancarlo De Cataldo) sono spiegate le ragioni per cui Busco non è ritenuto responsabile, così come sentenziato in primo grado (24 anni di reclusione inflitti), per quello che rimane uno dei grandi misteri di cronaca giudiziaria di Roma.

"BUSCO, NESSUN MOVENTE" Non c'è alcuna prova che Raniero Busco avesse un movente per uccidere l'ex fidanzata Simonetta Cesaroni. Lo scrivono i giudici della I Corte d'assise. Tra l'altro si accenna al ritrovamento di «tracce biologiche ed ematiche attribuibili a due diversi soggetti di sesso maschile che non possono identificarsi con Raniero Busco». 
La relazione dei due ragazzi - si legge nelle motivazioni della sentenza - «poteva essere problematica», ma dagli atti processuali e dal dibattimento «non sono emersi atti specifici di violenza commessi dall' imputato in danno della vittima, nè si può affermare che Busco sia portatore di personalità violenta». Inoltre, non c'è prova che fra Simonetta e Raniero «si fosse convenuto di incontrarsi il pomeriggio del 7 agosto presso gli uffici di via Poma, e non vi è nemmeno prova che Busco conoscesse il luogo di lavoro di Simonetta». 
Sull'alibi fornito da Raniero, i giudici scrivono che non vi è prova sia stato un «alibi mendace», essendoci di contro elementi che «inducono a ritenere che egli abbia, sin da subito, ricostruito i movimenti del pomeriggio del 7 agosto in termini sostanzialmente coincidenti con quelli poi emersi nel corso del dibattimento. In ogni caso, si può al massimo parlare di alibi carente ovvero assente, ma non mendace». 

"MORSA? NON CI SONO PROVE" Non vi è prova che in occasione dell'omicidio di Simonetta Cesaroni «le fu inferto un morso». È uno dei 'punti fermì nella sentenza della I Corte d'assise di Roma che ha assolto Raniero Busco dall'accusa di aver ucciso l'ex fidanzata. E, anche qualora - si legge nelle motivazioni della sentenza - «contro l'opinione del collegio peritale, si dovesse ritenere che le lesioni al seno siano da ricondurre a un morso, ancorchè parziale, una sua attribuzione all'imputato Raniero Busco non sarebbe scientificamente sostenibile». 
Per i giudici, Simonetta Cesaroni fu uccisa fra le 18 e le 19 del 7 agosto 1990 (durante le due inchieste sul fatto di sangue l'ora del delitto ha avuto un andamento 'basculantè) e «chi commise il delitto, o altra persona, ripulì accuratamente la scena del delitto», portando via la maggior parte degli indumenti della ragazza. 
Sul reggiseno e sul corpetto «sono presenti tracce di Dna minoritario riconducibili a Raniero Busco», ma «non è provato che le stesse siano state rilasciate in occasione del delitto: non vi è prova che gli indumenti indossati da Simonetta fossero stati sottoposti a lavaggio tale da rimuovere completamente ogni traccia che poteva essersi depositata durante l'incontro che Simonetta Cesaroni ebbe con Raniero Busco tre giorni prima del delitto».

"PROVE NON CONVINCENTI" Già in primo grado i giudici che si sono pronunciati, condannando Raniero Busco, sull'omicidio di Simonetta Cesaroni, si erano soffermati su alcuni punti della vicenda che, a loro dire, il dibattimento non era riuscito a chiarire: adesso i giudici d'appello li fanno propri e rilanciano. Su tutti: «la resistenza della portiera Giuseppa De Luca (moglie del portiere Pietrino Vanacore, suicidatosi alla vigilia della sua deposizione nel processo di primo grado,ndr) a consegnare le chiavi (dell'ufficio di via Poma,ndr) al personale delle Volanti della Questura», ma anche il non giustificabile possesso delle stesse che «erano il mazzo di riserva degli 'Ostellì, e non avrebbero dovuto trovarsi nella disponibilita della donna». 
E poi: il ritrovamento dell'agendina rossa di Vanacore fra gli effetti personali di Simonetta, nonostante lui «aveva sempre dichiarato di non essere entrato in quell'ufficio prima dell'accesso che avrebbe portato alla scoperta del cadavere». Infine, i giudici d'appello si soffermano sulla «lettura unitaria della vicenda» proposta dal pm durante il processo di primo grado. Ricostruì il pm -dicono in sostanza i giudici della corte di assise di appello - che il portiere Vanacore, avendo trovato socchiusa la porta degli uffici di via Poma era entrato, aveva trovato il cadavere e, invece di chiamare la polizia, aveva cercato di contattare telefonicamente i «possibili personaggi di rilievo» interessati alla vicenda (direttore e il presidente dell'Aiag ma anche i datori di lavoro di Simonetta), lasciando l'agendina Lavazza sulla scrivania di lavoro della ragazza; quindi era uscito chiudendo la porta a chiave utilizzando le chiavi che si trovavano appese allo stipite della porta d'ingresso degli uffici.
«Il primo giudice - si legge nella sentenza d'appello - ritenne questa ricostruzione suggestiva, plausibile, ma, ovviamente, non provata, e concluse per la sua sostanziale irrilevanza, attesa l'acclarata responsabilità di Busco. L'impossibilità di addivenire in questa sede a una tranquillante certezza in ordine alla responsabilità di Raniero Busco ripropone, rendendoli ancora più inquietanti, gli interrogativi sopra evidenziati». 

Fonte: Leggo

Pino Nicotri, "Emanuela Orlandi. La verità"



La riapertura del caso di Emanuela Orlandi, con l’indagine a carico di Don Piero Vergari, sembra gettare nuove ombre su un’inchiesta tutt’altro che chiusa. Pino Nicotri fa il punto della situazione dopo le scottanti notizie di questi ultimi giorni e si riaprono le pagine del suo libro "Emanuela Orlandi. La verità" (Dalai editore).
Nel caso di Emanuela Orlandi ci sono stati vari elementi che fanno capire che si tratta di una brutta storia, come tutti la conosciamo.
Anche in questo caso, come spesso emerge dalle cronache, lo zio materno Mario Meneguzzi è stato sospettato dai magistrati. Mentre un giorno si trovava con l’agente del Sisde Giulio Gange, amico di famiglia al quale era stato chiesto aiuto per capire cosa fosse successo, l’agente da bravo poliziotto si accorge che lo zio è seguito da una macchina, quindi lo avverte salvo poi scoprire che si trattava di un’auto della polizia. Per quale motivo lo zio era pedinato? Anche se i sospetti si sono poi rivelati infondati, senza conseguenze a suo carico, non sarebbe stato male proseguire le indagini che erano iniziate a carico del Meneguzzi. In particolare, l’avvio delle indagini pare fosse partito in seguito all’ascolto di una registrazione di una conversazione telefonica tra lo zio e quelli che si spacciavano per i rapitori della nipote, in cui il Meneguzzi parla quasi senza coinvolgimento o pathos, cosa che aveva colpito molto i magistrati.

Ma il dato curioso e molto indicativo per Nicotri è che a lanciare il primo allarme per la scomparsa di Emanuela sia stato Papa Wojtyla in persona. Emanuela scompare il 22 giugno 1983 di sera, e i magistrati e gli inquirenti sono inizialmente convinti che si tratti di una scappatella amorosa o dettata dalla noia (in Italia ogni anno migliaia di minorenni scappano da casa, salvo poi per fortuna ritornano quasi tutti; quell’anno nel Lazio c’erano stati una settantina di casi simili). Improvvisamente il Papa la domenica del 3 luglio durante la preghiera dell’Angelus lancia un appello a coloro i quali abbiano una qualche responsabilità nel mancato rientro a casa della giovane Emanuela Orlandi. La cosa straordinaria è che il Papa è il primo che adombra un sequestro. Il Papa lo fa senza motivo, non c’era nulla che facesse sospettare, i genitori stessi sono stati presi alla sprovvista da quell’appello, racconta il papà di Emanuela, Ercole Orlandi. Ancor più alla sprovvista sono stati presi gli inquirenti e i magistrati.
A questo punto l’autore chiede una riflessione: se Emanuela fosse stata davvero rapita, come il Papa ha dato ad intendere, cosa avrebbero fatto i rapitori una volta che il Papa lancia questa notizia terribile che ovviamente avrebbe scatenato polizia, carabinieri e servizi segreti non solo italiani, come in effetti è successo? Cosa avrebbero fatto i rapitori in questo caso, sapendo di non avere più scampo? O si sarebbero liberati dell’ostaggio lasciandolo andare o eliminandolo.
Come è noto Emanuela Orlandi non è mai tornata a casa. Possiamo allora pensare che il Papa abbia scientemente fatto un atto che la condannava a morte? Non possiamo spingerci a tanto. Tanto più che il Papa ha fatto poi altri sette appelli e Pino Nicotri non vuole pensare che per un atto di buonismo il Papa abbia messo a repentaglio la giovane vita della ragazza. Quindi l’unica cosa dignitosa e rispettosa verso la figura del Papa è che già sapesse che Emanuela Orlandi non poteva avere più alcun danno da questi appelli perché ormai era morta.
Ci sono poi una serie di casi aggiuntivi sbalorditivi. Che il Vaticano sapesse lo ha dimostrato Monsignor Francesco Salerno, che a quell’epoca si occupava del denaro del Vaticano. Monsignor Salerno interrogato dai magistrati italiani testimonia per iscritto che gli risultava che la segreteria di stato del Vaticano avesse un dossier probabilmente risolutivo sul caso Orlandi.
Esiste anche un’intercettazione telefonica dell’autotelefono che possedeva l’ingegnere Raul Bonarelli, vice capo della vigilanza del Vaticano (quindi non terrorista turco, lupo grigio o banda della Magliana), in cui il giorno prima di essere interrogato come testimone dai magistrati riceve una telefonata dal Vaticano da parte di Monsignor Bertani, Cappellano di Sua Santità. Monsignor Bertani "consiglia" all’ingegnere di mentire alla deposizione che dovrà sostenere. Cosa che segnala che qualcosa da nascondere c’era… Oltre a Monsignor Bertani, attorno al Papa circolavano strani personaggi, tra cui il suo segretario, il Vescovo irlandese Magee (spedito poi a fare il Primate d’Irlanda ha dovuto dimettersi perché per anni aveva coperto i preti pedofili nella Chiesa).
Altra cosa clamorosa che Nicotri scopre scrivendo il libro è che per chiedere di poter interrogare cittadini di uno Stato estero dal Parlamento italiano partono le cosiddette rogatorie internazionali. Rogatorie che quindi partivano per chiedere al Vaticano di poter interrogare alcuni cardinali sul caso Orlandi. Il responsabile dell’Ufficio legale del parlamento Italiano nella figura di colui che spediva le rogatorie internazionali per gli interrogatori era l’avvocato Gianluigi Marroni. Dal Vaticano qualcuno rispondeva negando il permesso agli interrogatori. Chi era questa figura che rispondeva negativamente? Era lo stesso Gianluigi Marrone che andava in Vaticano, si sedeva sulla poltrona di giudice unico del Vaticano (incarico concessogli allora da Nilde Iotti) e rispondeva alle sue stesse richieste di interrogatorio.
Chi era poi nell’Ufficio Legale del Parlamento Italiano una delle segretarie di Gianluigi Marroni? Natalina Orlandi, una sorella di Emanuela Orlandi. La stessa Natalina costretta a tacere, a non reclamare mai pubblicamente perché il suo datore di lavoro si mandava delle richieste di interrogatorio a cui, una volta in Vaticano, negava l’autorizzazione al tentativo dei magistrati italiani di vederci chiaro sulla scomparsa della sorella.
Insomma, Nicotri dimostra in diciotto punti la responsabilità del Vaticano non si sa se nella scomparsa di Emanuela Orlandi, ma sicuramente nel non voler far sapere cosa sia accaduto. Non si mente, non si tace per venticinque anni così accanitamente per proteggere una guardia svizzera per esempio, ma qualcosa di ben più grave ad un livello più elevato deve per forza essere successo.
           
Il libro.
I colpi di scena e le piste si susseguono a ritmo crescente, ma il tentativo di addossare la scomparsa di Emanuela Orlandi alla cosiddetta banda della Magliana, e in particolare al suo asserito capo Enrico De Pedis è ormai crollato. Fragorosamente crollato, ove per fragore si intende non solo quello dei mass media improvvisamente scatenati come una muta di cani da caccia sulla preda, ma anche quello dei martelli pneumatici che hanno praticamente demolito i sotterranei della basilica romana di S. Apollinare alla assurda ricerca dei resti della Orlandi come fossero la famosa “"pietra verde". Martelli pneumatici il cui ossessivo baccano pareva l’esplosione della rabbia non dei magistrati, che sapevano bene non avrebbero trovato nulla, ma dei telespettatori da curva sud che confondono l’uomo De Pedis  con la figura del Dandy, il cinico protagonista di Romanzo criminale in versione libro, film e serie televisiva.
Il tentativo di cambiare improvvisamente canovaccio e far passare per stupratore e assassino don Piero Vergari, l’ex rettore della basilica di S. Apollinare nei cui sotterranei De Pedis dorme il sonno eterno, è un boccone per palati grossi e amanti del macabro. Ma soprattutto destinato a chi è facilmente infiammabile in un’epoca in cui la Chiesa è sommersa dagli scandali per i troppi pedofili nel suo clero.
In nessun Paese civile sarebbe stato permesso che un programma televisivo, in questo caso "Chi l’ha visto?", potesse montare una campagna scandalistica durata ben sette anni basandosi su una telefonata anonima, del settembre 2005, supportata man mano da “supertestimoni”, prove e ricostruzioni fasulle. E in nessun Paese civile la magistratura si sarebbe arresa a una tale campagna fino a violare un intero cimitero antico posto, come costume non solo a Roma, nei sotterranei di una chiesa. "Riguardo al fatto di Emanuela Orlandi, per trovare la soluzione del caso, andate a vedere chi è sepolto nella cripta della Basilica di Sant’Apollinare", ha detto per telefono nel 2005 l’anonimo di "Chi l’ha visto?". La magistratura è andata "a vedere chi è sepolto nella cripta", De Pedis ovviamente, ma "la soluzione del caso" non c'è. Quella telefonata oltre che anonima era anche bugiarda. Come del resto anche le ultime "clamorose rivelazioni".

Fonte: Panorama.it 

CINA, TERRORE PER IL CANE MUTANTE. "È UN ESPERIMENTO GENETICO"


Uno strano animale sta terrorizzando gli abitanti di un paesino della provincia di Henan, in Cina. Di piccole dimensioni, l'animale ha dei particolari ciuffi di pelo bianco sulla testa e la coda e una pelle rosa con chiazze scure. «È un esperimento genetico» gridano i cittadini di Xinxiang, situata vicino ad alcuni centri in cui vengono effettuate ricerche su alcune specie animali. Dai laboratori hanno subito smentito: «Si tratta di una rara razza di cane, molto costosa e ricercata».

Fonte: Leggo



Droga tra gli aiuti per il sisma



Un tesoro di cocaina purissima nascosto tra i dispositivi medici destinati ai terremotati dell’Emilia Romagna. È quanto hanno scoperto i carabinieri del Nas di Genova in un container arrivato al terminal Europa del Vte di Voltri.
La droga, 12 chili, per un valore di oltre un milione di euro, era stipata tra cannule, provette, aghi per le flebo, bisturi monouso e camici per l’angioplastica destinati proprio ad una ditta colpita dal sisma. Secondo il Nas che ha operato con gli agenti delle Dogane con ogni probabilità i trafficanti di droga avevano scelto quel carico, partito dalla Repubblica Domenicana nei giorni successivi alla prima forte scossa, perché convinti della scarsità di controlli nelle zone del sisma.
Il loro disegno è stato però sventato da carabinieri ed agenti delle dogane che hanno controllato quel container sospetto ed hanno scoperto lo stupefacente. Le attenzioni dei militari si sono concentrate sul fatto che questo genere di prodotti medici arrivava non dalla Cina come avviene solitamente per questi traffici ma dal Centro America. Situazione questa per loro sospetta.
Gli stessi carabinieri hanno avviato nei giorni scorsi, in collaborazione con l’Agenzia delle Dogane, un protocollo di controllo dei carichi di prodotti medici in arrivo nel porto di Genova. Ora il Nas sta cercando di risalire a chi era diretto l’ingente quantitativo di droga. Si sospetta che non ci sia nessun coinvolgimento né dell’azienda emiliana che ha ordinato il carico né dello spedizioniere. La droga con una percentuale di purezza di quasi il cento per cento e quindi in grado di rendere il triplo nella vendita al dettaglio era divisa in panetti marcati «Lacoste».

Fonte: Il Secolo XIX


TIENE PER MESI IL CADAVERE DEL PADRE IN UN SACCO. ARRESTATO UN TORINESE


Un altro caso di maltrattamento di anziani e di poco rispetto verso i genitori. I Carabinieri hanno sottoposto a fermo, per l'ipotesi di reato di maltrattamenti in famiglia, Giuseppe Pilone, 58 anni, di Settimo Torinese (Torino), che per mesi ha nascosto, nella sua casa, in un sacco il corpo del padre Antonio, 91 anni, morto per cause naturali. Nella casa, ieri i Carabinieri hanno trovato, in condizioni igienico-sanitarie molto precarie, anche la madre dell'uomo. La donna, che ha 91 anni, è stata condotta in ospedale. L'appartamento è stato posto sotto sequestro.

Fonte: Leggo

STUPRÒ UNA STUDENTESSA, IL GIP CONCEDE DOMICILIARI A FRANCESCO TUCCIA I


 Il gip del tribunale dell'Aquila Giuseppe Romano Gargarella ha concesso gli arresti domiciliari a Francesco Tuccia, il 21enne campano, ex caporale dell'esercito, accusato dello stupro di una giovane studentessa laziale nella notte tra l'11 e il 12 febbraio scorso all'esterno della discoteca Guernica di Pizzoli (L'Aquila). Il giovane, sospeso da parte del comando del 33/o Reggimento Artiglieria Acqui dell'Aquila in seguito all'arresto, dopo circa 3 mesi e mezzo di detenzione, tornerà nella casa di Montefredane in provincia di Avellino, dopo aver lasciato la cella del carcere di Teramo che condivideva con Salvatore Parolisi, accusato dell'omicidio della moglie Melania Rea. Non è d'accordo il legale della giovane studentessa laziale, Enrico Maria Gallinaro. «Rispondo alla domanda su cosa penso di questo provvedimento - spiega - sottolineando ciò che ho detto ieri ad un collega che esternava il suo rammarico contro l'istanza di domiciliari per una persona da otto mesi in carcere per la detenzione di sette grammi di cocaina. Ho risposto al mio collega che le ordinanze vanno rispettate e se non condivise, impugnate». Il legale ha spiegato anche che la famiglia della sua giovane non commenta per ora la decisione e che la sua assistita non è stata ancora informata del fatto. Il gip Gargarella ha accolto l'istanza degli avvocati Antonio Valentini e Alberico Villani. Secondo quanto si è appreso, il pm David Mancini titolare dell'inchiesta basata sulle indagini dei carabinieri dell'Aquila, ha chiesto il giudizio immediato, mentre i legali di Tuccia stanno valutando il rito abbreviato per il loro assistito. Il pm ha comunque dato parere favorevole alla concessione dei domiciliari: un segnale del fatto che le indagini stanno per essere chiuse.

Fonte: Leggo

TORINO, SPARI NOTTURNI CONTRO LA SEDE DI EQUITALIA



Ancora un gesto di violenza contro una sede di Equitalia. Questa volta ad essere presi di mira sono stati gli uffici della sede di Ciriè, in provincia di Torino. Nella notte sono stati esplosi quattro colpi di pistola, ma nessuno è rimasto ferito.
È successo poco dopo la mezzanotte: ignoti hanno sparato contro le vetrate dell'Agenzia e si sono poi dileguati a bordo di un'auto. Sul posto, avvertiti dai residenti che hanno sentito i colpi, sono intervenuti i carabinieri che hanno recuperato 4 bossoli calibro 7.65 e stanno indagando su quanto accaduto.

Fonte: Leggo

PADOVA, EQUITALIA GLI MANDA 117MILA EURO DA PAGARE: 60ENNE SI UCCIDE



Un disoccupato di 60 anni, si è tolto la vita questa notte, gettandosi in un canale di Brentelle, nella zona ovest di Padova ai confini con il comune di Rubano. Le ricerche da parte di carabinieri e vigili del fuoco erano iniziate ieri sera quando un familiare aveva riferito che l'uomo era apparso sconvolto dal recapito di una cartella esattoriale di Equitalia da 117 mila euro. Nell'auto del sessantenne, un ex agente di commercio, i carabinieri hanno trovato alcuni biglietti indirizzati ai familiari. Le operazioni di recupero del corpo sono in corso.

Fonte: Leggo

Roberta Ragusa, si lavora per la manifestazione. ''Non dimenticatela''

ROBERTA RAGUSA

Gello lavora per preparare la manifestazione che si terrà il prossimo 13 giugno, in occasione dei cinque mesi dalla scomparsa di Roberta ragusa.

LA MANIFESTAZIONE. L'annuncio della manifestazione, organizzata da Cinzia Guidi, amica e vicina di casa di Roberta, era stato dato qualche giorno fa. L'iniziativa si terrà per le vie di Gello. Il ritrovo è previsto intorno alle 21.15/21.30 del 13 giugno al parcheggio della parrocchia del paese. Il corteo percorrerà via Matteotti per poi entrare in via Ulisse Dini, fino a raggiungere l'abitazione della donna scomparsa.

AL LAVORO. E ora si lavora perché questa manifestazione (che ''non sarà una fiaccolata, ma una manifestazione per far sentire la partecipazione delle persone e il nostro desiderio di ottenere una volta per tutte, la verità'', aveva spiegatoCinzia Guidi) possa raggiungere gli obiettivi sperati: ovvero quello di tenere alto il cado della donna scomparsa da casa ormai quasi 5 mesi fa e di cui da allora non si hanno più notizie, tra piste finite nel vuoto e avvistamenti non confermati.

"NON DIMENTICATELA". La paura più grande - ripetono le amiche e i conoscenti di Roberta ragusa - è che anche questo caso rimanga senza soluzione, e venga pian piano dimenticato da televisioni e giornali, finendo così nel dimenticatoio senza che si riesca a capire che fine abbia fatto la donna. Ed è proprio questo che vogliono evitare, ed è proprio per questo che è nata l'ide adella manifestazione.

"TUTTI POSSONO PARTECIPARE". ''Tutti possono partecipare, nessuno escluso. Più siamo meglio è. Chi vorrà, potrà portare striscioni, cartelloni e manifesti. Dobbiamo far sentire la nostra voce. Il caso di Roberta non deve essere archiviato senza una soluzione'', aveva confermato l'amica di Roberta.

ADESIONI. Alla manifestazione del prossimo 13 giugno sono stati invitati anche i parenti di Roberta, anche se ancora non si sa se parteciperanno o meno. Le adesioni, comunque, sembrano non mancare: tra pochi giorni il piccolo paese toscano si riempirà di persone che vogliono sapere cosa ne sia stato della "loro" Roberta.

Fonte: Il Reporter.it

Bomba a Brindisi, decreto di fermo: “Vantaggiato occulta il concorso di altri”

Giovanni Vantaggiato 

“In sede di interrogatorio Vantaggiato ha ammesso la sua diretta partecipazione all’azione criminale, ma non ha voluto indicarne il movente, mantenendo un atteggiamento tendente evidentemente ad occultare il concorso di altri“. E’ quanto è scritto, secondo quanto scrive l’Ansa, nel decreto di fermo nei confronti del presunto attentatore di Brindisi Giovanni Vantaggiato, in cui vengono ricostruiti gli elementi che hanno portato al fermo dell’uomo.
Il primo elemento contro Giovanni Vantaggiato è rappresentato dalle due auto riprese dalle telecamere. “La presenza sul luogo dell’accaduto di due autovetture – si legge nel documento- delle quali egli aveva la disponibilità sia la notte tra il 18 e il 19 maggio in coincidenza con la collocazione del bidone della spazzatura contenente l’ordigno esplosivo, sia la mattina successiva in orario precedente e successivo all’esplosione”. C’è poi il cassonetto in cui erano nascoste le bombole.
Vantaggiato avrebbe avuto infatti una “agevole possibilità” di reperire il bidone “in zona vicina a quella in cui sono ubicati il suo deposito carburanti e la sua abitazione” in quanto “è stato accertato che quel modello di bidone è utilizzato per la raccolta dei rifiuti dalle amministrazioni comunali di Nardò e di altre amministrazioni comunali salentine”. Nel decreto, infine, i magistrati fanno anche riferimento ad un rischio che potrebbe correre lo stresso attentatore.
“Ritenuto il pericolo di fuga connesso alla probabile decisione di allontanarsi che il Vantaggiato potrebbe assumere al fine di sottrarsi alle possibili reazioni delle vittime – è scritto – si dispone il fermo e la traduzione nella casa circondariale di Lecce”.
Anche le auto sono state importati per risalire all’identita’ di Vantaggiato. Era stata infatti segnalata la presenza di due autovetture nei dintorni della scuola la sera prima dell’attentato e la mattina stessa. Si tratta di una Fiat Punto Bianca e di una Hyundai Sonica Blu. Della prima, che e’ stata vista aggirarsi nelle vicinanze della scuola la sera del 18 maggio, sarebbe stata individuata la targa, un fanalino rotto ed e’ stato notato che aveva il sedile posteriore abbassato, probabilmente per poter caricare le tre bombole usate come ordigno per l’attentato.

Fonte: Blizt quotidiano