mercoledì 23 maggio 2012

Pedofilia, la Cei: «Vescovo non obbligato a denunciare un sacerdote alle autorità»



Per un vescovo è «importante» collaborare con le autorità civili nei casi di presunta pedofilia da parte di un sacerdote, ma non è obbligatorio in ogni caso. Sono state presentate martedì all'Assemblea generale della Cei - Conferenza episcopale italiana - le «linee guida per i casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici» approvate a gennaio dal consiglio permanente e poco dopo dalla Congregazione per la Fede. In febbraio il prefetto e cardinale William Joseph Levada, durante un simposio internazionale, aveva chiarito che la Chiesa «ha l'obbligo» di rispondere alle «richieste della giustizia civile» per quanto riguarda «le denunce dei crimini alle autorità competenti», ma non quello di denunciare. In ogni caso, «la responsabilità nel trattare» questi abusi appartiene in primo luogo alla Diocesi.

DIRITTO CANONICO AUTONOMO - In Italia il vescovo nelle sue indagini e nei suoi giudizi «non può far riferimento ad atti o conclusioni definitive o non definitive del procedimento statale», cioè di un processo, «onde esimersi da una propria valutazione». In pratica, anche durante un processo penale, il vescovo procede secondo il diritto canonico.

IL PROCESSO - Nel caso un vescovo riceva denuncia di un abuso deve prima verificare la fondatezza delle accuse badando alla privacy delle persone coinvolte ed evitando di dare seguito a voci palesemente pretestuose o diffamatorie o senza riscontro. «Restano fermi i vincoli posti a tutela del sigillo sacramentale», cioè la confessione. Dopodiché, se il caso viene verificato, il chierico può essere trasferito e il suo incarico eventualmente modificato, ma «l'adozione dei provvedimenti non potrà essere subordinata al consenso del chierico». Se l'accusa si rivela particolarmente credibile, il chierico viene deferito direttamente alla Congregazione per la Dottrina della Fede, altrimenti viene prosciolto da ogni addebito. Se invece viene esclusa la verosimiglianza delle accuse, tutto il materiale rimane in un archivio segreto del Vescovo stesso.

LE PENE DEL DIRITTO CANONICO - «Le misure canoniche applicate nei confronti di un chierico colpevole dell'abuso sessuale sono generalmente di due tipi: 1) misure che restringono il ministero pubblico in modo completo o almeno escludendo i contatti con i minori. Tali misure possono essere accompagnate da un precetto penale; 2) pene ecclesiastiche, fra cui la più grave è la dimissione allo stato clericale», ricorda il testo della Cei. Inoltre un sacerdote trovato colpevole «potrà attuare un percorso impegnativo di responsabilizzazione e serio rinnovamento della sua vita». In pratica, secondo il diritto canonico, tra i più gravi delitti «contro i costumi», «il delitto contro il sesto comandamento del Decalogo (non commettere atti impuri, ndr) commesso da un chierico con un minore di diciotto anni» o il possesso o la diffusione a scopo di libidine di materiale pedopornografico possono portare alla dimissione o alla deposizione. Viene anche precisato che l'abuso di minore ha un tempo di prescrizione di 20 anni da quando il minore diventa maggiorenne (i tempi, rispetto alla consuetudine, sono stati raddoppiati due anni fa da Papa Benedetto XVI).

LA COOPERAZIONE CON LO STATO - I vescovi sono esonerati dall'obbligo di deporre in tribunale o di esibire i documenti del proprio archivio (quindi delle eventuali indagini già svolte), e lo Stato può chiedere l'esibizione di atti di un procedimento canonico ma non può sequestrarli o emanare un ordine di esibizione. Inoltre, «nell'ordinamento italiano il vescovo, non rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale né di incaricato di pubblico servizio, non ha l'obbligo giuridico di denunciare all'autorità giudiziaria statuale le notizie che abbia ricevuto in merito ai fatti illeciti». Viene però sottolineato come vada «sempre dato seguito alle prescrizioni delle leggi civili per quanto riguarda» le denunce, ma «senza pregiudicare il foro» ecclesiastico. La volontà di collaborare, quindi, c'è, ma non è obbligatoria.

Fonte: Corriere della sera

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