sabato 28 aprile 2012

"Disabili, l’amore non è un tabù": ecco la storia di Simone ed Eri


“Il matrimonio per un disabile grave purtroppo non è una cosa comune. Io ed Eri però vorremmo dire alle persone disabili di crederci, di darsi da fare e di non disperarsi: può arrivare anche l’amore”. Mai nozze furono più giuste di quelle viste lo scorso 22 aprile nel duomo di Modena. Lo sposo si chiama Simone Soria, è nato a Modena 33 anni fa ed è affetto da una grave tetraparesi spastica, dovuta a una paralisi cerebrale infantile: non può camminare né controllare correttamente braccia e mani. Simone però può scrivere al computer digitando con un caschetto dotato di un’asta che funge da “dito”. È così che Simone, nel 2004, ha potuto laurearsi in Ingegneria informatica, fra parentesi con 110 e lode. Dopo la laurea ha progettato “Facemouse”, un dispositivo che rileva il movimento della persona e lo utilizza per muovere il mouse.
Ed è stato proprio grazie al suo lavoro che Simone ha conosciuto la sua sposa, una ragazza giapponese di nome Eri Ueno. “L’ho conosciuta due anni fa in uno dei tanti viaggi di lavoro che faccio in giro per l’Italia”, racconta. “Ero andato a dormire a Milano in una onlus, dove ho trovato questa ragazza giapponese che mi ha ricevuto ed offerto la cena”. Simone era già stato in Giappone, e così lui ed Eri hanno iniziato a chiacchierare. “Parlando parlando ci siamo conosciuti un po’, ci siamo scambiati l’email e dopo qualche giorno le ho scritto… e con molta sorpresa lei mi ha risposto! Dopo poco abbiamo iniziato a vederci qualche volta a Milano e qualche volta a Modena. Visto che non era una cosa molto comoda le ho chiesto di venire a vivere a Modena e lei ha accettato”. Le nozze hanno ricevuto anche la benedizione del sindaco Giorgio Pighi. “I suoi successi negli studi e nell’attività professionale”, ha scritto il primo cittadino modenese in un messaggio, “ottenuti anche grazie all’invenzione di soluzioni creative e tecnologiche di alto profilo, sono oggi accompagnati dal successo più importante di ogni persona, quello sul piano affettivo che culmina nel matrimonio”.
Simone ha voluto fare del suo matrimonio un evento quasi “pubblico”, per dare “un messaggio sociale forte” spiega, “vorrei dire alle persone non disabili che anche chi ha un handicap prova dei sentimenti, ha il diritto di amare e di essere amato dall’altro sesso, visto che i disabili spesso vengono visti come degli ‘angioletti assessuati’”. Avere una vita affettiva non è facile, ma nemmeno impossibile. “I problemi ci sono, anche molto pratici”, prosegue Simone, “ma crediamo che per ogni problema ci sia una soluzione: ad esempio i ragazzi che lavorano con me in Aida (Ausili e informatica per disabili e anziani, la società fondata da Simone) aiutano Eri ‘nell’accudirmi’ venendo la mattina ad alzarmi dal letto e qualche sera”.

Simone è consapevole che i suoi “successi” non sono casuali o frutto di fortuna, ma arrivano da lontano, da un approccio alla disabilità che la sua famiglia ha sempre adottato. Per avere una vita normale un disabile grave “dev’essere stato integrato nella società fin da bambino ed essere abituato a rapportarsi con gli altri anche senza l’assistenza ‘istituzionale’”, spiega Simone. “Inoltre deve avere l’ausilio giusto che gli permetta di studiare come tutti gli altri suoi coetanei. Io ho avuto la fortuna di essere in una classe normale fin dalle scuole materne, cosa che era un’eccezione negli anni ’80 e che anche oggi non è assolutamente scontata, e ho iniziato ad utilizzare il computer all’età di 7 anni”.

Dopo il matrimonio ci sono ancora progetti e sogni da realizzare, anzi, grossi progetti, ancora una volta sul versante informatico, ancora una volta per aiutare altre persone con disabilità a diventare autonome. Secondo Simone “gli ‘esperti ed operatori’ nel campo della disabilità spesso iniziano a lavorare con le persone considerando la diagnosi medica; il problema è che le diagnosi mediche sono spesso riduttive e a volte completamente sbagliate perché mancano gli strumenti per valutare correttamente le capacità cognitive di chi non parla e non utilizza le mani”. Servirebbero nuove soluzioni tecniche, ma anche uno sguardo diverso sulle potenzialità di chi apparentemente non riesce a esprimersi. “Vorrei costituire una fondazione la cui missione permanga nel tempo indipendentemente da chi ci lavora. Purtroppo però serve un fondo di 50 mila euro per iniziare, quindi sto cercando qualcuno o qualche ente interessato ad appoggiare economicamente questo progetto”. Per Simone ed Eri sarebbe senz’altro il più gradito regalo di nozze.

Fonte: http://affaritaliani.libero.it/sociale/storia-amore-tra-persone-disabili260412.html?refresh_ce

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